Scritto da: Enrico (Enrico7418, utente di Comics Memories)
Cosa possono avere in comune una serie tv di intrattenimento come Fargo (seconda stagione), e un fumetto – possiamo dire – d’autore, come Daytripper?
Metto subito in chiaro che considero la serie (scritta da Noah Hawley, trasmessa in Italia da Sky Atlantic) un lavoro di medio/alto livello, che riesce se non altro a non far mancare quei guizzi di genio che contraddistinguono la prima stagione, mentre non ho alcun dubbio sul fatto che Daytripper (di Fabio Moon e Gabriel Ba, edito in Italia da RW Edizioni) sia un vero e proprio capolavoro, uno di quelli che rendono indiscutibile il fatto che i fumetti, siano un veicolo d’arte della stessa potenza del cinema o della letteratura o della musica, mettendo in buona pace tutti quelli che ancora non l’hanno capito.
Ma per arrivare rapidamente alle somiglianze, eccone una prima: la morte. C’è molta morte in Fargo, c’è molta morte in Daytripper.
Di per sé non è certo un argomento che può bastare per un accostamento degno di nota.
Una vicenda molto seria, che mi ha toccato personalmente e non cito per riserbo, mi ha portato nell’ultimo periodo a dare molto peso all’argomento della morte in tutto quello che vedo e leggo. E così mi sono accorto che siamo letteralmente immersi nella morte. Il lettore che ha avuto la pazienza di arrivare fino a qui, si fermi un istante, chiuda gli occhi, e provi a pensare a quanti cadaveri ci sono nelle serie tv che vede, nei libri e nei fumetti che legge, e a come spesso, muoiano in malo modo, a volte in malissimo modo. E devo dire che la cosa mi sconcerta, perché sono estremamente convinto, che troppo spesso si faccia di un argomento così importante, un semplice elemento di intrattenimento. La morte è sprecata, viene tirata via come si tira una perla a un maiale, invece dovrebbe avere un peso perché è importante, perché è una cosa seria, la morte, e deve essere rispettata.
Sia in Fargo che in Daytripper – voglio sostenere – la morte è un veicolo per raccontare lo stupore e la bellezza della vita, produce senso nel racconto, non serve soltanto a dare qualche brivido al fruitore ingenuo e il più delle volte in cerca di facili emozioni.
Ecco la seconda e più importante connotazione di somiglianza. Certo nella serie tv la questione è meno dominante, e forse diventa palese solo nel finale, ma è evidente che era molto chiara al suo autore.
C’è una terza similitudine (e la considero la più rilevante), ma la descrivo alla fine, per chi ci arriva.
Non è questa la sede per dilungarsi nel racconto delle trame delle due opere, mi basterà ridurre al minimo, chi vorrà approfondire non avrà che da leggere o guardare.
Il nuovo capitolo di Fargo è ambientato nel 1979, nelle località di Sioux Falls (South Dakota) e Luverne (Minnesota), dove il giovane agente di polizia Lou Solverson, reduce dal Vietnam, indaga su un caso che coinvolge una gang locale e una grande organizzazione mafiosa. Una delle cose che salta subito agli occhi è lo stile. Noah Hawley decide di lasciare le atmosfere deliranti e a tratti grottesche della prima serie, per dirigersi verso un tipo di racconto più lineare e classico (non mancano naturalmente le strizzate d’occhio alle atmosfere improvvisamente surreali dei fratelli Coen). Ma quello che innalza la qualità di Fargo, almeno per i miei gusti, è che non si tratta di un semplice poliziesco piuttosto violento e incalzante. Ci troviamo di fronte a un vero e proprio western epico, di quelli alla Sergio Leone, al quale peraltro non mancano le citazioni, sia visive che musicali. E naturalmente non manca Quentin Tarantino di cui Mike Milligan, sicario della banda di mafiosi, si fa letteralmente il portavoce. Il protagonista, poliziotto cauto ma capace e coraggioso, si troverà nel bel mezzo di una carneficina, praticamente un’ecatombe… Ma nell’economia del racconto, non mancano occasioni di tregua, nei quali si trova a casa a scambiare momenti di tenerezza con la figlia piccola e la moglie – Betsy -, malata di cancro (e ti pareva). Sino al finale, un’ultima puntata che a mio parere contiene un picco narrativo, breve ma fondante, una piccola perla preziosa…
Ma prima di arrivarci devo passare a Daytripper.
La seconda persona che vediamo morire in Daytripper è il protagonista, più o meno dopo 22 pagine, quelle che segnano la prima delle 10 parti del fumetto, con una folgorante anticipazione del racconto proprio all’inizio, a pagina 1 e 2.
Ma vorrei lasciare subito la parola al testo, citando alcune didascalie che compaiono all’inizio.
Pagina uno, ultima vignetta: “La gente muore ogni giorno”-“è il pensiero più sereno di cui Bras è capace, mentre guarda i necrologi del giornale scorrergli davanti agli occhi”-“si è appena reso conto che anche quando lui non ne sta scrivendo…”. Pagina due, prima vignetta: “… La gente continua a morire.”.
Questo mentre lo vediamo imbrattato di sangue davanti al banco di un bar.
Bras de Oliva Domingos è un aspirante scrittore di romanzi, si guadagna da vivere scrivendo necrologi, è figlio di un romanziere estremamente affermato che lui stima e ammira forse come nessun altro. Muore (per la prima volta) in quel bar, ucciso da uno spiantato durante una rapina.
Inizialmente può stupire, ma ci renderemo rapidamente conto, che vedremo morire il protagonista tante volte. Daytripper mette in scena in 10 straordinari atti, i momenti più belli o più importanti (o più determinanti?) della vita di Bras de Oliva Domingos, raccontandone ripetutamente la morte.
In quanti modi diversi si può morire? Uccisi da un disperato… Di vecchiaia… Vittime di un incidente… Di tumore… Annegati… Per un ictus fulminante… Il solo tentativo di scrivere un elenco genera sconforto. Ne vedremo di trapassi (ipotetici?) di Bras, ma quello che farà sempre da padrona della storia è la vita che viene prima. Il racconto del suo primo innamoramento?… Del rapporto con il suo migliore amico?… Una tormentata separazione, e la scoperta improvvisa e folgorante della vera donna della propria vita?… Il rapporto con il padre, intellettuale e scrittore di fama mondiale, o con la madre, amorevole ma naturalmente possessiva?… La nascita del figlio? L’infanzia, l’adolescenza, la maturità, la mezza età, la vecchiaia… Quanta vita c’è in Daytripper… Eppure la morte è sempre dietro l’angolo, perché il lettore sa che alla fine di ogni capitolo il destino di Bras è segnato. E chi legge in maniera morbosa come me, proverà anche la curiosità di voltar pagina per vedere quale sarà questa volta l’epilogo della sua vita.
Il lettore stia tranquillo, quello che ho scritto anticipa poco o nulla di un fumetto la cui complessità spinge comunque a più di una lettura.
Ma Daytripper è anche un fumetto di intrattenimento, e visto che contiene tante storie in una storia, non mancheranno colpi di scena, momenti di tensione e brividi inattesi.
Ma è ora di fare un bel salto e chiudere raccontandovi della terza similitudine tra Fargo e Daytripper. Per farlo parleremo di alcuni dettagli dei due finali… Niente paura, nessuna anticipazione sulle trame, nulla che possa togliere il gusto insomma. Si tratta di un concetto più che altro, ed è quello di “discendenza”.
Io lascio ancora (e volentieri) la parola al testi, molto più potenti della mia debole retorica.
In Fargo c’è un momento nell’ultima puntata in cui la moglie del protagonista (Betsy) è stesa convalescente nel letto, abbracciata a sua figlia piccola. Davanti a lei una ragazzina (Noreen) scampata a una sparatoria micidiale (e figurati) è ospite temporanea e le fa compagnia. È appassionata di Camus il grande scrittore esistenzialista francese. E questo è il dialogo (la piccola perla preziosa):
Noreen – Buongiorno.
Betsy – E’ tornato Lou?
N – No… ascolta… Com’e’… Riesci a sentirlo?
B – Che cosa?
N – Mia zia… Ha perso i seni per colpa del cancro. Mi disse che era come se qualcuno… Le avesse infilato… Un attizzatoio nel cuore.
B – No… Non e’ cosi’. Non ancora. Hai presente quando prendi una pesca dal vassoio e una parte e’… Gialla e matura mentre la parte opposta e’ nera e ammuffita? Questo… e’ l’unica cosa che mi viene in mente… Per poterlo descrivere.
N – Camus dice che… La consapevolezza della morte rende la nostra vita un’assurdita’.
B – Beh, non so chi sia questo Camus. Ma sono sicura che non abbia una figlia di sei anni.
N – E’ francese.
B – Puo’ essere anche venuto da Marte. Nessuno con un po’ di sale in zucca direbbe mai una cosa cosi’ stupida. Siamo venuti al mondo… Per compiere una missione. E ognuno di noi ha a disposizione il tempo necessario… Per portarla a termine. E quando questa vita finira’… E ti troverai davanti al Signore… Prova a dirgli che si trattava solo di una battuta di un certo francese.
Nell’ultimo episodio di Daytripper, Bras (anziano e malato di cancro, deciso a rifiutare la chemioterapia) si trova a leggere una lettera che il padre gli aveva scritto in occasione della nascita del nipote. La lettera rimane nascosta per anni tra le pagine di un libro perché il padre di Bras muore proprio lo stesso giorno del parto della nuora. Per caso il figlio di Bras la ritroverà tanti anni dopo e gliela consegnerà quasi con noncuranza. Cito di seguito le ultime didascalie senza raccontare quello che si vede.
“Solo quando accetterai di dover prima o poi morire potrai lasciarti andare… E fare del tuo meglio nella vita. Ed è questo il grande segreto. Questo è il miracolo. Da oggi non hai più il controllo della tua vita… Come è stato per me dal giorno in cui sei nato. Ti scrivo questa lettera per farti le mie congratulazioni… E per ammettere che non hai più bisogno di me.”
E così, sia in Fargo che in Daytripper, viene raccontata la forza della vita che la morte non può fermare, quanto meno lì, in una discendenza, di padre in figlio, di figlio in nipote, e così via per sempre, nei secoli dei secoli.