The Umbrella Academy stagione 2 – Recensione

A circa un annetto e mezzo dall’uscita della prima stagione di The Umbrella Academy è stata rilasciata su Netflix la seconda che riprende la narrazione esattamente da dove si era interrotta.

La famiglia di supereroi disfunzionali creata nei fumetti da Gerard Way e Gabriel Ba e poi adattata per la televisione da Steve Blackman si è salvata dall’apocalisse ma si è ritrovata divisa negli anni ’60 poco prima dell’omicidio del Presidente J.F. Kennedy e con una nuova apocalisse alle porte da impedire
Se da una parte la serie mantiene tutti gli elementi che hanno definito la prima stagione, ovvero i suoi toni leggeri, scherzosi ma anche cool e pop con una evidente ricerca estetica, nelle musiche e nella fotografia, ricerca al limite dello stucchevole tanto te lo vogliono sbattere in faccia, non possiamo dire lo stesso della trama che seppur prendendo spunto in minima parte dal secondo volume della serie a fumetti intitolato Dallas (tra una stagione e l’altra ho recuperato e letto i fumetti), per almeno metà stagione segue un po’ troppo lo stesso canovaccio della prima, con la famiglia inizialmente divisa e i tentativi di riunirla per scoprire le cause e sventare l’ennesima apocalisse, con tutti i diverbi e le difficoltà che la caratterizzano. Inevitabilmente Umbrella Academy ha perso freschezza esaurendo l’effetto novità, rincarato appunto da questo ripetersi parziale di situazioni, ma non per questo è stata meno piacevole da guardare, forse meno coinvolgente. Superata però la metà la serie si riprende alla grande e ha dalla sua il fatto di essere sempre divertente con i suoi personaggi al limite del surreale, in particolar modo per questo aspetto continua a spiccare il Klaus di Robert Sheehan mentre Luther, interpretato da Tom Hopper, il numero 1 della squadra, quello che dovrebbe essere il loro leader, rimane forse un po’ troppo relegato al ruolo di macchietta. Sempre ottimo invece il giovanissimo Numero 5 di Aidan Gallagher che potrebbe avere un ottimo futuro in questo settore, è davvero bravo.

L’America degli anni ’60 diventa lo scenario ideale affrontare temi attuali quali integrazione e diversità, da una parte con le proteste del movimento per i diritti civili degli afroamericani, di cui Allison (Emmy Raver-Lampman) fa parte, e dall’altra con temi quali l’omosessualità, ma probabilmente il termine più adatto sarebbe fluidità sessuale, prima con Klaus, continuando una storyline della prima stagione, e poi con Vanya, interpretata da Ellen Page, ma se nel primo caso si continua appunto un qualcosa di già affrontato prima non si può dire lo stesso per lei, il che mi porta a chiedermi se questa decisione sia dovuta a scelte narrative o per assecondare l’attrice, ma alla fine è un grosso chissenefrega, la storyline funziona.

Chiudo con una piccola riflessione. Mi è capitato di leggere commenti negativi sulla serie, per carità i gusti son gusti anche quando questi sono pessimi, e posso capire quando si parla appunto di una certa ridondanza dei temi affrontati in questa seconda stagione, un po’ meno sui temi stessi, come i viaggi nel tempo e i paradossi. Cose già viste ovviamente, sono un tema classico della fantascienza ma qui ci si dimentica che The Umbrella Academy prima di essere una serie fatanscientifica essenzialmente è una serie di supereroi e in tv serie di supereroi come The Umbrella Academy non ce ne sono, forse giusto Doom Patrol ci si avvicina (Legion fa testo a sé), capisco anche che la mancanza delle classiche tutine possa trarre in inganno. Quindi non sono i temi fantascientifici a definire questa serie ma il suo essere una serie di supereroi e come questi vengono affrontati, andando oltre i supereroi con i superproblemi della Marvel che qui diventano superdisfunzionali, riprendendo tematiche già affrontate nei fumetti da Doom Patrol di Grant Morrison ma che piaccia o meno rimane un qualcosa di mai visto in una serie tv del genere.

Classificazione: 3.5 su 5.

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