Mi fa un po’ strano parlare di questo documentario di Netflix quando non ho speso una sola parola per The Toys That Made Us, High Score o The Power of Greyskull che indubbiamente sono più in tema con quanto parliamo solitamente a queste coordinate.
Se ne è fatto un gran parlare di The Social Dilemma, ne ho sentito tanto in radio e, beh, sui social. Per chi non lo sapesse The Social Dilema è un documentario in cui alcuni ex dipendenti di note società di social come Facebook svelano gli oscuri segreti che si celano dietro queste applicazioni o siti che ormai fanno parte della nostra quotidianità. Segreti che personalmente non ho trovato così segreti, anzi, The Social Dilemma direi che parla della scoperta dell’acqua calda.
Oooooh! Stupore e panico del pubblico!
Ma stupore di che? Paura di cosa? Nell’oretta e mezza di questo documentario essenzialmente ci confermano ciò che sapevamo già, ovvero che questi social fanno di tutto per farci stare il più possibile a smanettare su di essi, ma alla fine mica ti puntano la pistola alla testa, sei tu a decidere quanto starci sopra. Le notifiche farlocche che ci inviano per attirare la nostra attenzione possiamo anche ignorarle, io faccio così quando Twitter mi suggerisce dei Tweet che potrebbero interessarmi, certo non posso essere preso come campione ma nemmeno quanto mostrato qua, ma ci torniamo dopo.
Ci manipolano! Ci controllano!
Esticazzi? Era chiaro come il sole anche prima di questo documentario che le varie piattaforme, da YouTube a Instagram, si adeguano alle nostre azioni, alle nostre scelte, ai nostri gusti.
Guardi il video gameplay di un gioco che non riesci a superare? YouTube da ora in poi ti mostrerà tra i correlati altri video di gameplay.
Guardi un video musicale di un cantante a caso? Sarai riempito di video dello stesso cantante.
Metti mi piace a un video di gattini su Facebook? E giù di video di gattini o animali.
Il prodotto sei tu!
E che prodotto aggiungerei, ottima qualità. Personalmente non ho nulla in contrario al fatto che i social mi suggeriscano elementi che sono più affini ai miei gusti, perché dovrei preferire roba su autotuning o sul calcio rispetto a cinema, fumetti e videgiochi? E si, anche gattini.
Eh ma così non espandi i tuoi orizzonti!
E chi lo dice? Non è un social che deve aprire i miei orizzonti, se c’è qualcosa che attira la mia attenzione sarò io per primo ad andare a cercarlo.
E onestamente mi fa molto ridere questo stupore dal momento che Netflix stesso, ma anche Amazon Prime Video, nella propria home hanno una barra in bella vista con i titoli che potrebbero piacermi, ovvero materiale selezionato da un algoritmo in base a film e serie già viste sulla piattaforma di turno. Idem su Amazon o eBay. Si chiama marketing e non l’hanno di certo inventato loro dei social.
Il documentario alterna le interviste agli ex dipendenti dei social network a una ricostruzione di una situazione famigliare in cui viene affrontato il problema, cosa anche interessante quanto poco credibile in quanto la situazione mostrata è talmente estrema da non poter essere presa sul serio, ed è quello a cui mi riferivo poco sopra. L’ossessione del ragazzo protagonista del docufilm è qualcosa di patologico, e ancora devono spiegarmi dove esista un ragazzo adolescente che non ha alcun interesse al di fuori del telefonino e dei social, possibile che non avesse un computer per chattare? Non può guardarsi i porno come tutti i ragazzi della sua età? Non ha nemmeno una console? Non è realistico e in quanto tale non può essere preso sul serio.
Piuttosto potevano soffermarsi maggiormente sul problema del cyberbullismo e dell’egocentrismo generato da like e follower che portano certe persone a pensare, anzi no alla convinzione di essere il centro del mondo. Questo argomento viene solo sfiorato quando ci mostrano la sorellina più piccola della famiglia, alla disperata ricerca di like ma anche vittima di commenti bodyshaming, ma hey, in questo modo i tizi tirati in ballo avrebbero dovuto giustificare il perché vigilino così poco sul materiale condiviso, e quel poco che fanno lo fanno male. Dopotutto se io dicendo a uno che può rimanere nella sua ignoranza vado contro agli standard della community in materia di molestie e bullismo, che non tengono minimamente conto del contesto in cui si dicono certe cose, ma nel frattempo continuo a vedere gente che come sport pratica il trolling va tutto bene no? Insomma significherebbe prendersi delle responsabilità.
Altra cosa che avrebbe meritato più spazio invece di parlare per un ora abbondante di banalità è il tema della polarizzazione, di come sui social ormai ci si divida tra una posizione o l’altra, ogni utente ha la verità in mano e non concede alcuno spazio al dibattito, e questo si che è un problema enorme, in particolare per i più giovani che stanno crescendo con la convinzione di essere nel giusto, anzi con un perverso senso di giustizia che non farà altro che rendere reale ciò che George Orwell ha immaginato per 1984.
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Hai detto bene, la scoperta dell’acqua calda, ma poi il modo in cui è realizzato? Con quelle scenette recitare degne delle nostre fiction? Orribile, fa venir voglia di iscriversi a Tik Tok solo per ripicca, cento volte meglio The Toys That Made Us 😉 Cheers!
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Ovviamente, manco a dirlo, non l’ho visto 😛
Comunque, riguardo al ragazzino anomalo: la mia esperienza personale non vale come indagine statistica, ma conosco quale persona di quel genere (sì cellulare, no computer e console) però sono decisamente la minoranza.
Conosco persino persone molto giovani che non leggono fumetti e ciò mi lascia stranito, ma vabbè, sto uscendo dall’argomento.
Comunque, se un fuoriuscito da un’azienda mi parla dei “turpi segreti”, mi aspetto qualcosa di più intenso: riti satanici nella sala server per rubare le anime tramite i like, pezzo per pezzo, o cannibalismo in consiglio d’amministrazione, non la versione discorsiva dei termini della privacy XD
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Non escludo che esistano ma non sono la regola, sui fumetti già lo trovo più normale ahimé. In sta famiglia si passa dalla sorella grande che fa sempre la morale sui cellulari, che non possiede, al fratello cell dipendente. Una via di mezzo no? Non c’era altro modo per affrontare il problema della dipendenza?
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Grande Facebook che mi fa vedere solo roba che mi interessa! Cosa me ne farei di notizie sul calcio o roba del genere. Così, invece, spesso scopro anche cose nuove e che mi interessano davvero. Poi, ovvio che se uno vuole informarsi meglio deve uscire da facebook…
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Insomma, mi pare di capire che si tenga molto sul superficiale.
Vero, le cose che hai elencato non sono crimini, nel senso che è normale per una piattaforma attirarti e farti stare di più. Anche la TV ragiona allo stesso modo, anche io col calendario editoriale sul blog miro a una narrazione verticale da palinsesto, quando possibile.
Moz-
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Si concentra tanto su cose che dovremmo sapere tutti e troppo poco su temi importanti quali la dipendenza da social, polarizzazione, fake news, cyberbullismo, e quando lo fa finisce col fare un gran mischione. E intanto la gente a stupirsi che si adeguano ai nostri gusti, ma è proprio su questo che puntano, sull’ignoranza delle persone.
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Condivido pienamente quello che scrivi. Anche io dalle mie parti ho sollevato problemi sul fatto che si parlasse di cose già notte a chi aveva orecchie per intendere e non vedesse il mondo social come l’antro dell’orco di turno.
Molto, molto superficiale. Una clamorosa occasione persa per parlare del mondo in divenire in cui viviamo e che spesso molti di noi non capiscono.
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